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Età del Bronzo Medio e Recente

(Clicca sui simboli nella mappa per maggior dettagli. In rosso gli scavi archeologici)

Nel corso del XVI sec. a.C., all’inizio del Bronzo medio, compaiono nel territorio parmense, e in generale nell’Emilia, i primi insediamenti terramaricoli. La loro costruzione ha comportato notevoli modificazioni all’ambiente, tra cui massicce e progressive deforestazioni e adattamenti della rete idrica naturale in funzione del drenaggio e dell’irrigazione dei campi. Il diffondersi di strumenti in metallo per il taglio degli alberi e la conoscenza dell’aratro in legno a traino animale, permisero di intervenire per la prima volta in modo assai deciso sul querco-carpineto misto che dominaco all’epoca la pianura emiliana. Anche l’incendio era un metodo utilizzato localmente per aprire varchi nella vegetazione arborea, come testimonia il sito di San Pancrazio. Al disboscamento poteva seguire la rapida messa a coltura delle terre e, grazie al nuovo aratro, progressivamente furono coltivati anche i tereni più argillosi e pesanti della bassa pianura.

Nella fase superiore del periodo Subborealesono evidenti nella Padania i segnali e le testimonianze delle profonde modificazioni ambientali che la comunità terramaricola provocò nella bassa pianura. L’inizio del periodo è contrassegnato, effettivamente, da un’esplosione di piante erbacee di prati e pascoli. Questi alti valori di erbacee stanno a registrare proprio gli ampi disboscamenti realizzati per far posto ad aree prative, a pascoli per gli allevamenti e a superfici coltivabili. Inoltre, le paludi vengono drenate e modificate, la vegetazione arborea forestale mesofila di pianura e quella igrofila di luoghi umidi-acquitrinosi viene estesamente abbattuta per creare spazi aperti per superfici coltivabili e per pascoli, ma anche per essere utilizzata come legname da costruzione.

Le testimonianze di colture cerearicole si fanno molto evidenti. Accanto alle testimonianze palinologiche, spicca la docuementazione dei macrofossili nei siti archeologici: pollini e cariossidi di grano di varie specie, di orzo, avena e miglio, ma anche legumi di fava (Vicia faba), pisello (Pisum sativum) e da ultimo la presenza anche di lino (Linum usitatissimum). Si arricchisce pure la flora commensale e infestante, mentre per le piante legnose coltivate si hanno all’incirca gli stessi valori del periodo precedente.

Nei diagrammi pollinici provenienti sia dai siti archeologici, sia dalle zone circostanti, questi eventi sono riflessi fedelmente: alti valori percentuali del gruppo dei cereali e delle ruderali durante la fase di massima crescita della civiltà terramaricola, loro caduta alla fine del periodo, simultanemante alla caduta delle curve delle piante erbacee di pascoli e prati e al contemporaneo aumento del complesso forestale, in riconquista parziale delle aree prima sottratte.

Le analisi palinologiche eseguite su alcuni siti terramaricoli posti  nella pianura reggiana (Poviglio) o modenese (Montale) testimoniano un paesaggio disomogeneo già prima della fondazione dei villaggi e un forte disboscamento in connessione al loro sviluppo. A Poviglio, anteriormente alla costruzione dell’insediamento, troviamo la documentazione dell’esistenza di ampie aree aperte in parte umide e di un bosco mesosciafilo e igrofilo di latifoglie in ambiente fresco, composto cioè da piante che preferiscono ambienti umidi e temperati, con falda anche superficiale, e che originano boschi fitti e ombrosi. Non è chiaro se il disboscamento precedente alla fondazione del villaggio sia dipendente da pratiche agricole o dovuto a fattori naturali. La moderata abbondanza di polline di abete bianco e di faggio, nei livelli precedenti e in quelli coevi all’insediamento, testimonia ancora in quest’epoca la diffusione di boschi di queste specie, tipiche di un clima oceanico. A Montale, invece, il tasso di afforestamento prima dell’insediamento del villaggio è più alto e solo dopo la costruzione della si assiste al crollo di questo indicatore.

I materiali rinvenuti a  sotto l’antica Casa Mauri, all’angolo tra via Repubblica e Borgo Valorio, laddove è stata individuata una terramara, indicano per tutta la sequenza indagata (circa 1600-1300 a.C.) un ambiente ampiamente deforestato, almeno localmente, e la presenza di una falda molto superficiale. Non lontano dal sito sono presenti boschetti di noccioli e carpini e solo più distanti sono i boschi di quercia caducifoglie, cerro, olmo, frassino maggiore, dai quali è stata prelevata la materia prima per la costruzione della palafitta.

Sono numerose le terramare che ricadono all’interno del Comune di Parma, in ordine cronologico: quella di Quingento occupata già dall’inzio del Bronzo medio, quella di Parma sotto l’attuale centro storico e quella di occupate entrambe tra il pieno Bronzo medio e il Bronzo recente, quelle di , Marano e attive solo nel Bronzo medio, quella di , e Santa Geltrude attive dal tardo Bronzo medio al Bronzo recente, e infine quella di attiva solamente nel Bronzo recente.

In localita Quingento di S. Prospero è nota una grande terramara, che, curiosamente, venne impiantata in una sorta di depressione nonostante la presenza di un dosso alcune centinaia di metri ad ovest. Essa è stata indivudata già nel corso del XIX sec., ma solo più recentemente è stata posizionata e definita con maggiore precisione grazie a frequenti ricerche di superficie, all’uso della fotografia aerea e alla realizzazione nel 2006 di piccoli saggi di scavo.

Proprio grazie alla fotografia aerea è stato possibile verificare l’esistenza su quasi tutti i lati di una struttura perimetrale costituita da un argine realizzato in argilla. In tal modo è stato possibile desumerne le dimensioni, che risultano oltremodo inusuali circa 7/8 ettari già nel Bronzo medio contro gli 1/1,5 ettari di media degli insediamento coevi, e questo lascia supporre un particolare rilievo o ruolo del sito, ammessa l’esistenza di una gerarchia tra i siti. Inoltre, la posizione in prossimità di quell’asse nord-ovest/sud-est già sfruttato come percorso nella preistoria, e coincidente in età storica all’incirca conla via Emilia, potrebbe aver attribuito al sito una particolare importanza, come segnalerebbero, oltre le dimensioni, anche le tracce dello svolgersi di attività metallurgiche e il rinvenimento di materiali di prestigio, tra i quali faience e ambra.

In base ai materiali raccolti l’insediamento risulta impiantato agli inizi del Bronzo medio, circa XVI sec. a.C., e occupato con continuità anche per tutto il Bronzo recente. Dal punto di vista culturale si presenta come estrema testimonianza di diffusione verso Ovest di una serie di elementi di derivazione orientale, generalmente assenti oltre il torrente Parma. Infatti, pur non mancando affinità con i siti più occidentali (Casaroldo, Castione dei Marchesi), la presenza di elementi tipici dei settori terramaricoli orientali risulta di più immediata evidenza[1].

Inoltre, circa400 mpiù a nord del sito, tra il 2002 e il 2004 è stata riportata alla luce una necropoli ad incinerazione con sepolture in urna databile al Bronzo medio, verosimilmente riconducibile proprio alla terramara[2].

La terramara scavata a più riprese sotto la città di Parma, in un’area approssimativamente compresa tra Stradello S. Girolamo e il cortile del Convento di Maria Luigia, è uno dei primi siti in cui vennero eseguiti scavi scientifici. Le prime indagini portarono all’individuazione di un doppo ordine di pali (olmo e quercia) lunghi da2 a4 m (alcuni anche di6 m), estrememamente fitti, la cui testa si trovava a circa3 m dal piano stradale e che erano coperti da potenti depositi terramaricoli. Scavi più recenti, eseguiti negli anni 1998, 2002 e 2005, hanno fornito nuovi dati: sono stati messi in luce 25 pali del diametro di 10-15 cm, in gran parte in quercia e olmo, e 4 travi poste di piatto. I pali attraversavano una serie di strati torbosi antropizzati e molti avevano la punta infissa in una creta lacustre. In base a ciò, è verosimile che la terramara di Parma abbia avuto almeno in parte le caratteristiche di una vera e propria palafitta estesa in parte all’interno una palude e in parte sulla sponda di essa all’asciutto.

In base ai dati posseduti l’insediamento dovrebbe essersi sviluppato nella media (XVI e XV sec. a.C.) ed esser proseguito fino al Bronzo recente (XIII sec. a.C.). In quest’arco di tempo la terramara venne molto probabilmente riedificata, o almeno ristrutturata, più volte in alcune sue parti: da qui la particolarità della palificata che presentava un doppio, o forse anche triplo, ordine di pali[3].

La collezione di materiali provenienti dalla terramara conta un centinaio di pezzi e comprende soprattutto ceramica: tra questa abbonda soprattutto il vasellame fine con una prevalenza di tazze e scodelle. Tra le altre classi abbastanza ricco è anche il repertorio di oggetti litici, mentre pochissimi sono gli oggetti in bronzo e in osso. I confronti istituiti hanno consentito di evidenziare una progressiva apertura verso la zona terramaricola centro-orientale, mentre sembrano assenti i rapporti con gli abitati dell’Appennino emiliano e con le altre aeree interessate dalla “cultura del Bronzo occidentale”.

In relazione all’insediamento era una necropoli ad incinerazione di estensione incerta circa 300 m più ad ovest dell’insediamento, in . Essa venne distrutta nel 1967 durante lavori di scavo per la messa in opera di un ascensore e si riuscì ad accertare solamente la presenza di nove sepolture a cremazione e a recuperare cinque urne funerarie. In base ad esse la frequentazione della necropoli appare certa almeno per una fase avanzata del Bronzo medio e il Bronzo recente, quindi nelle ultime fasi, o perlomeno quelle avanzate, dell’insediamento terramaricolo corrispondente. La tipologia dei vasi conservati in un caso mostra un interessante richiamo all’”aspetto culturale di Canegrate”, che caratterizza la Lombardia occidentale[4].

In località Vicofertile, in un’area superiore ai15 ettari, tra il 1993 e il 2009 sono stati rinvenuti resti di una serie di insediamenti pertinenti a diverse fasi del Bronzo medio e recente, che si sono affiancati e sovrapposti tra loro nel corso del tempo. Il probabile “insediamento madre” del complesso terramaricolo si trovava nell’area attualmente occupata dal mulino ed è andato quasi totalmente distrutto durante il XIX sec. dalle cave di terra “marna” e nel 1980 dai lavori per la posa dei silos del mulino.

Uno scavo aperto ai suoi margini nel1993 harestituito una sequenza stratigrafica della potenza di1,7 mche testimonia la rapida crescita di un insediamento fondato nel pieno Bronzo medio (seconda metà del XVI sec. a.C.) che ad un certo punto della sua storia (seconda metà del XV sec. a.C.) fu dotato di un terrapieno difensivo in ghiaia. Anzichè ampliare il primo abitato la gente di Vicofertile impiantò nuove aree insediative accanto ad esso, già a partire dalla fine del XV e poi nel XIV sec. a.C., fenomeno che denuncia forse il raggruppamento di comunità distinte, provenienti da altri villaggi. Considerando la sua estensione e articolazione non è un caso che il sito di Vicofertile fu l’ultimo, tra quelli emiliani, ad essere abbandonato, nel corso del XII sec. a.C. Infine, nell’estate del 2009, è stata messa in luce una necropoli ad incinerazione con sepolture in urna ricoperte da piccoli tumuli[5].

In località Fraore, ad Ovest di Parma, in momenti diversi sono state identificate due terramare. Rispetto alle prime interpetazioni che ritenevano le due aree appartenenti ad un unico grande abitato, oggi appare più probabile che si tratti di due villaggi a distanza ravvicinata secondo il modello del “villaggio piccolo” e del “villaggio grande”, modello desunto dalla terramara di Poviglio nel reggiano e poi riconosciuto in vari siti anche nel parmense, come Vicofertile, Beneceto e Castione dei Marchesi. La terramara più ad est è denominata “Oratorio”, quella ad ovest “Vallazza”. Per quel che riguarda la prima, l’unico elemento struttrale noto è stato messo in luce con alcuni interventi nel 1992: si tratta di un breve tratto del fossato che circondava l’insediamento, che in tale punto aveva una larghezza di circa15 m. Per quanto riguarda la seconda, non sono mai stati effettuati scavi nella zona e le uniche informazioni provengono da ricerche di superficie: esse hanno definito in modo abbastanza preciso un’area rettangolare con angoli arrotondati estesa circa1 ettaro. Entrambi gli abitati sembrano essere stati occupati contemporaneamente, dalla media età del Bronzo fino al Bronzo recente[6].

In località Marano, immediatamente a nord dell’abitato omonimo e sul bordo settentrionale di un ampio terrazzo, grazie ad alcune ricognizioni di superficie (XIX sec., 1985/1986) sono state individuate due aree di affioramento di materiale archeologico. I materiali rinvenuti permettono una prudente datazione dell’insediamento al Bronzo medio, forse con attardamenti nel Bronzo recente. L’esistenza di una necropoli è segnalata nel 1891, quando, nei pressi dell’insediamento, vennero rinvenute quattro urne cinerarie allineate e sepolte a circa40 cm dalla superficie del terreno[7].

In località Gaione, a sud di Parma, è stata identificata una terramara grazie a ricerche di superficie e all’analisi di fotografie aeree. Essa sorge lungo un paleoalveo forse riconducibile al torrente Cinghio, ha forma quadrangolare irregolare ed è definita da un terrapieno ben evidente nella foto aerea; l’estensione dell’abitato risulta di poco inferiore ad un ettaro. I materiali rinvenuti documentano una frequentazione del sito solamente durante il Bronzo medio[8].

La terramara nota come Cornocchio (o anche Baganzola) si trova tra le località di Fognano e Roncopascolo, a nord-ovest di Parma. Il sito è noto solamente grazie alcune alcune ricerche di superficie compiute nel XIX sec. e successivamente nel 1980 e 1982. I pochi materiali rinvenuti permettono di inqudrarlo cronologicamente tra il tardo Bronzo medio e il Bronzo recente (fine XV-XII sec. a.C.)[9].

In località Beneceto gli scavi per la realizzazione della linea ferroviara ad alta velocità hanno messo in luce un grande insediamento terramaricolo, noto come terramara di , molto articolato in senso sia cronologico che funzionale. Dopo un insediamento dell’area nel Bronzo antico, l’impianto della terramara avvenne all’inizio del Bronzo medio inoltrato (XV sec. a.C.; BM3a). l’occupazione continuò per tutto il Bronzo recente (XIII sec. a.C.) senza soluzione di continuità, pur con frequenti spostamenti delle strutture o mutamenti delle destinazioni d’uso delle zone occupate. Il sito venne abbandonato alla fine del Bronzo recente (BR2), come tutti gli insediamenti emiliano coevi.

Il sito era probabilmente articolato  in un “villaggio piccolo”, demolito da una cava di “marna”, e in un “villaggio grande”, quello oggetto di scavo tra il 2005 e il 2007, secondo un modello riconosciuto anche a Vicofertile e forse a Fraore. Tuttavia, mentre a Poviglio l’abitato è delimitato da imponenti strutture perimetrali e mostra la progettazione ordinata e compatta di una vasta area, qui l’organizzazione è condizionata dalla morfologia del terreno e l’impianto subisce rilevanti variazioni nel corso tempo.

Agli estremi dell’ara indagata non sono stae rinvenute strutture di delimitazione, forse oblietrate verso est dall’attuale canale Beneceto e da un canale dell’Età del Ferro. All’interno dell’insediamento è stato identificato un quartiere abitativo della seconda metà del XV sec. a.C. su un dosso esteso ca.70 m, caratterizzato da una serie di grandi abitazioni rettangolari su palafitta all’asciutto. Inoltre, sono state identificate alcune aree produttive in spazi specifici, distinti da quelli abitativi, come una pavimentazione in limo scottato estesa almeno150 m2sulle sponde di una depressione, e diverse aree di lavorazione metallurgica, caratterizzate da frammenti di crogioli, scorie, forme di fusione. Tra queste una matrice a forma di cavallo rappresenta un unicum nelle produzioni italiane coeve, sia per il tipo d’oggetto, sia per la complessità di realizzazione.

All’esterno dell’abitato si estende una necropoli ad incinerazione utilizzata tra XIV e XIII sec. a.C., della quale sono state messe in luce 110 sepolture a incinerazione, talvolta concentrate in gruppi che potrebbero riflettere articolazioni familiari o sociali. Le sepolture sono costituite da urne che contengono i resti della cremazione, coperte da una ciottola rovesciata.

Infine, nella zona circostante al sito è anche impiantata una serie di imponenti strutture certamente comunitarie e probabilmente di stoccaggio, che rivelano una strutturazione ed un controllo del territorio finora insospettati[10].

Un probabile insediamento, noto come Santa Gertrude, è stato individuato recentemente, nel2002, in località Torricella a nord della Via Emilia, e, grazie ai materiali ceramici raccolti, può essere collocato cronologicamente tra Bronzo medio inoltrato e Bronzo recente[11].

Infine, in località Ravadese, a nord di Parma, è stata indivudata nel 1982 una terramara grazie alla raccolta di materiali in superificie. In fotografia aerea sono ben desumibili forma e dimensione del sito: la forma è rettangolare irregolare (sub-trapezoidale), con angoli arrotondati, e l’estensione complessiva della terramara e di circa2 ettari. I materiali raccolti inquadrano la frequentazione dell’abitato in una fase decisamente avanzata del Bronzo recente, tra XIII e XII sec. a.C.[12]

Dal quadro esposto si possono trarre alcune indicazioni sul quado del popolamento tra Bronzo medio e Bronzo recente.

Le terramare attive durante il Bronzo medio (Quingento, Parma, Vicofertile, Fraore, Marano, Gaione e da una fase avanzata del Bronzo medio Cornocchio, Beneceto e Santa Geltrude) si trovano tutte a distanze piuttosto regolari, ad eccezione di quella di Santa Gertrude che si trova circa a metà strada tra quelle di Parma, Quingento e Beneceto, ma sulla quale, onestamente, possediamo ben poche informazioni. Tutte le altre si trovano tra un minimo di3,1 kmcirca (Fraore Oratorio-Cornocchio, coeve però solamente per le fasi più tarde del Bronzo medio) ad un massimo di8,7 kmcirca (Marano-Parma), con una distanza media di circa5,3 km, in linea con i dati delle teramare coeve dell’Emilia occidentale. La loro disposizione non sembra seguire direttrici particolari e gli insediamenti sono disposti in modo da occupare in modo sistematico tutto il territorio, con una prefernza per la porzione centrale più prossima al percorso pedecollinare ricalcato dalla successiva via Emilia. Se in aggiunta consideriamo anche i numerosi rinvenimeni di superficie, genericamente databili all’età del Bronzo, appare ben evidente la frequentazione e l’occupazione capillare di tutto il territorio, anche agli estremi margini settentrionali della bassa pianura, oltre alle vaste zone tra un terramara e l’altra, indizio della probabile presenza di piccoli nuclei insediativi marginali[13], complementari ai centri maggiori, forse occupati stagionalmente in relazione allo sfruttamento capillare delle risorse ambientali.

In questo senso sono probabilmente da interpretare i rinvenimenti effettuati presso Cortile San Martino, a nord di Parma. Qui è stato messo in luce un suolo scarsamente antropizzato databile all’inizio della civiltà terramaricola. Il sito non mostra le caratteristiche di un abitato, quanto, piuttosto, quelle di un area  destinazione agricola. L’area è attraversata da un canale naturale nel cui riempimento si sono rinvenute testiomaninze relative al Bronzo antico, ma le tracce più significative di occupazione risalgono al Bronzo medio (1.750-2.650 a.C.). L’area è punteggiata da ceppaie e solcata da una serie di piccoli fossati artificiali che conlfuiscono uno nell’altro; alcuni di essi sono associati a pozzi per attingere acqua e a pozzetti meno profondi, verosimilmente cisterne, e nel complesso delineano un sistema idraulico volto all’irrigazione e/o drenaggio di un’area preventivamente disboscata. Due concentrazioni di buche di palo che formano brevi allineamenti ortogonali, accanto alle quali si trovavano fosse contenenti grandi vasi per conservare derrate alimentari, rappresentano forse piccole costruzioni per lo stoccaggio dei prodotti agricoli. I pochi frammenti in ceramica fine sono inquadrabili nella fase “delle anse ad ascia” dell’inizio del Bronzo medio[14].

Alla fine della media età del Bronzo vengono abbandonate le terramare di Marano, Gaione e Fraore (sia Oratorio che Vallazza) e viene impiantata quella di Ravadese (a distanze comprese tra 4 e6,7 kmdalle terramare più prossime, in linea con i dati precedenti).

Diversamente da altre zone, come ad esempio il reggiano, nel passaggio al Bronzo recente non si assiste al fenomeno dell’abbandono dei siti più piccoli a favore di quelli di maggiori dimensioni o di quelli che vengono ora ampliati. Infatti, sebbene nel Parmense gli insediamenti abbandonati sembrano effettivamente essere tra quelli più piccoli, sempre con prudenza e relativamente alle nostre attuali conoscenze (circa1 haper Farore Vallazza e Gaione; circa2 haper Marano), ancora nel Bronzo recente accanto ad insediamenti di grandi dimensioni, quali Quingento (circa 7/8 ha) e forse Vicofertile e Parma (circa 5/6 ha), sopravvivono e compaiono ex-novo insediamenti più modesti, come Cornocchio, Ravadese e Santa Gertrude (tutti attrono ai2 ha). Tuttavia, all’aumento delle dimensioni degli insediamenti non sembra corrispondere un aumento dell’area di pertinenza, e le terramare mantengono tra loro distanze analoghe a quelle che le separavano nel Bronzo medio.

È ben osservabile anche uno spostamento degli abitati verso la bassa pianura (il più tardo di essi, Ravadese, costituisce l’esempio migliore, essendo proprio l’insediamento posto più a nord) e ad un contemporaneo spopolamento dell’alta pianura, proseguendo la tendenza già delinetasai nelle fasi tarde del Bronzo medio, quando vennero fondate le terramare di Cornocchio, Beneceto e Santa Gertrude. Le motivazioni sottese a quesi cambiamenti restano sonosciute: si potrebbe pensare a motivazioni di carattere ambientale (maggiore o minore disponibilità di risorse idriche o di aree coltivabili), oppure ad uno spostamento dei percorsi commerciali, oppura a problemi di carattere sociale, dal momento che è proprio nel Bronzo recente che generalmente la maggior parte dei villaggi costruisce terrapieni e fossati. È stato anche proposto che lo spostamento a valle possa essere dovuto ad una perdita di potere del mondo terramaricolo nei confronti di quella “cultura occidentale” i cui insediamenti occcupano i rilevi appenninici delle valli del taro e del Ceno.

Dal punto di vista della conservazione dei depositi è possibile notare che i livelli relativi all’età del Bronzo hanno profondità di giacitura poco elevate, generalmente attorno al metro, come risulta evidente anche dalla quantità di affioramenti di reperti nei terreni rivoltati dalle arature. I depositi alluvionali formatisi nelle epoche successive sono, pertanto, molto scarsi, ad eccezione della zona di Vicofertile dove gli strati della terramara sono conservati ad oltre1,5 m. Effettivamente, se confrontiamo la disposizione dei rinvenimenti, in particolare quelli di superficie, con la cronologia delle unità pedostratigrafiche delineate nell Carta Geologica dell’Emilia Romagna in scala 1:250.000, possiamo notare che in tutte le aree che presentano al tetto depositi alluvionali post classici (inquadrabili tra tarda antichità e ed età Moderna) sono quasi completamente assenti rinvenimenti di superficie, segno che in quelle aree i depositi dell’età del Bronzo non sono assenti, ma conservati a profondità maggiori, certamente superiori a quelle raggiungibili normalmente dall’aratro. Sono zone, quindi, particolarmente importanti sia per quest’epoca, ma anche per le precedenti, in quanto a profondità elevate vi potrebbero essere conservati depositi archeologici ancora intatti.

Nel Bronzo recente le terramare sono all’apice del loro sviluppo, come tutti gli indicatori archeologici dimostrano: villaggi di grandi dimensioni e densamente popolati, sensibile crescita demografica, avanzata gestione del territorio, apparente floridezza economica, fitta rete di scambi. Tale sviluppo appare troncato in modo innaturale poco dopo il1.200 a.C., quando le terramare della pianura padana centrale vengono rapidamente abbandonate, probabilmente nell’arco di una sola generazione. L’evento, che si presenta nel quadro di una crisi che investe tutta l’Italia settentrionale, ha determinato il più forte vuoto antropico riconoscibile a livello archeologico in area padana. A sud del Po la pianura viene totalmente spopolata e tale resterà fino all’arrivo degli Etruschi, tra VII e VI sec. a.C., mentre solo nell’Appennino si riscontrano tracce di sopravvivenza. A nord del Po, invece, i siti terramaricoli delle Valli Grandi Veronesi sopravvivono, mostrando anzi una vitalità indiziata dalla presenza di ceramiche tardo-micenee, ed è questa la zona in cui si formeranno alcuni dei più estesi e ricchi insediamenti del Bronzo finale.

Per spiegare la fine delle terramare si considerano fattori sia ambientali che storici. È possibile che un lieve deteriormento climatico, forse un episiodio di aridità, abbia avuto un effetto catastrofico su un sistema agricolo che era già sull’orlo della crisi per sovra-sfruttamento delle risorse, a causa del forte aumento demografico verificatosi. Inoltre, la documentazione fornita dalla terramara di Poviglio nel reggiano, mostra un potenziamento delle strutture difensive nelle ultime fasi, oltre al crollo per incendio di vari edifici. Anche se non vi sono elementi per ricollegare questi dati ad eventi bellici, non si può dimenticare la coincidenza cronologica con la grave instabilità documentata per il Mediterraneo all’inzio del XII sec. a.C. Per spiegare la fine delle terramare bisogna per ora ammettere una covergenza di fattori negativi ambientali, sociale e storici, a cui il sistema terramaricolo non è riuscito a far fronte.

[1] Area di scavo n. 347; Area di segnalazione n. 263; sito n. 347/1 dell’Atlante Archeologico del Comune di Parma.[2] Area di scavo n. 395; sito n. 395/1.[3] Aree di scavo nn. 3, 9, 10, 12, 14, 95, 839, 840, 841, 842, 843, 847, 848, 849; sito n. 3/1.[4] Area n. 15; sito n. 15/1.[5] Aree di scavo nn. 11, 342, 348, 350, 327, 351, 816: sito n. 351/1; area di segnalazione n. 244.[6] La terramara denominata “Oratorio” comprende le aree di scavo nn. 13, 344, 345; sito n. 344/1; aree di segnalaione n. 282. La terramara denominata “Vallazza” riguarda l’area di segnalazione n. 283.[7] Area di segnalazione n. 290.[8] Area di segnalazione n. 284.[9] Area di segnalazione n. 866.[10] Area di scavo n. 807; sito n. 807/1.[11] Area di segnalazione n. 262.[12] Area di segnalazione n. 267.[13] In questo senso forse possono essere lette le strutture individuate nel 2000 lungo Strada del Lazzaretto – aree di scavo nn. 337, 820; sito n. 327/1 – e nel 2001 lungo la Tangenziale sud poco più a nord di Benefizio – area di scavo n. 799; sito n. 799/1.[14] Area di scavo n. 339; sito n. 339/1.

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